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Intervista con il regista e attore. Marco Baliani

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Il nostro redattore Gianfranco De Cataldo ha intervistato l’attore e regista Marco Baliani. Di seguito l’intervista rilasciata per voi lettori.
 
Un tuffo nel passato. Da bambino dicevi “da grande farò…”?
Avrei voluto fare il pescatore e da grande non l’ho fatto perché sono diventato attore, rammaricandomi sempre di non avere seguito la vera passione.
Tanti pensano che fare il regista sia fare solamente soldi. In realtà è soprattutto passione con tanti sacrifici. Raccontaci come è nata la tua?
Si diventa registi casualmente, non c’è una scuola di regia, anche se le scuole fingono di insegnare regia. Non si può insegnare. Per essere un buon regista prima devi essere un buon attore. Io penso che un regista che non ha mai calcato la scena, difficilmente riesca a comunicare qualcosa agli altri attori. Fatica? Sì, c’è tanta fatica, ma servono pure i soldi perché senza soldi non si può faticare a vuoto. È un mestiere che richiede una passione costante ed energie inesauribili. E fare il regista è molto più faticoso che fare l’attore.
Secondo come è ancora possibile fare cinema di qualità?
Avendo dei buoni finanziamenti, perché in Italia l’industria cinematografica non esiste; quindi partendo da una base di sostentamento economico che permetta agli sceneggiatori di scrivere con agio e con un tempo a disposizione, al produttore di poterci investire anche privatamente (cosa che non accade), e agli attori di avere il tempo di capire che cos’è la sceneggiatura, assieme al regista… Serve tempo per fare un film.
L’attuale situazione del teatro e del cinema in Italia oggi.
Non lo so. È troppo complicato rispondere a una domanda del genere. Bisognerebbe farla a quelli che hanno pensato a fare questa legge sul teatro che ucciderà gran parte delle compagnie giovani. Non ci sarà più possibilità di trovare sostentamenti per chi vuole iniziare adesso a fare teatro. Si va appunto verso una sorta di grande privatizzazione della cultura e del mondo della cultura credendo che in questo modo si produca di più, si produca più qualità. Non è vero, si produce una qualità commerciale. Quindi tutto quello che non rientra nel “commerciale” va perduto. La situazione è molto grave.
Per quale tuo lavoro nutri maggiormente affezione e quale invece ti ha dato filo da torcere?
Sono tanti i lavori belli e restano nella memoria frammenti di questo o di quell’altro. Non c’è un lavoro che è meglio di tutti gli altri: ti porti dentro dieci minuti di uno spettacolo di vent’anni fa, venti minuti di uno dell’altro ieri. Zero mai, non c’è mai uno spettacolo che non ti lascia niente. Uno spettacolo è fatto di punctum. Poi, è vero, a volte azzecchi anche uno spettacolo che per un’ora e mezza intera entra nel mito. “Kohlhaas” è entrato nel mito.
Un progetto o un lavoro che avresti voluto dirigere.
Tutte le direzioni che mi hanno proposto, tutti gli spettacoli che ho fatto li ho fatti volentieri, non ho rimpianti di cose che avrei voluto fare. Tutto quello che ho fatto mi ha divertito, mi è piaciuto farlo e ci credevo. Ho sempre fatto quello che credevo che fosse utile per me, per il pubblico, per gli attori.
Qualche attore con il quale con il quale ti sarebbe piaciuto lavorare?
Tantissimi. La maggior parte sono totalmente sconosciuti alla nomenklatura attorale italiana. Mi piacciono quegli attori senza birignao, quegli attori che recitano come se mangiassero, naturali, veri. Molto difficili da trovare, ma ce ne sono tanti, soprattutto tra i giovani. Mi dispiace non poter lavorare con molti di loro.
Qualche ricordo o aneddoto di uno dei tuoi lavori?
Gli aneddoti sono una moltitudine. Ricordo quando abbiamo fatto “La pelle” con Maria Maglietta a Napoli: riuscire a raccontare “La pelle” a Napoli davanti al pubblico napoletano era una cosa che ci emozionava molto. Tutte le sere eravamo molto commossi alla fine dello spettacolo.
Raccontaci anche della tua esperienza cinematografica con i vari Martone, Archibugi, Comencini?
Ognuno mi ha dato delle cose, a ognuno ho dato delle cose. Ogni film era diverso. Quindi è molto difficile paragonarli tra di loro. Sono tutte esperienze uniche e irripetibili, belle e brutte, riuscite, meno riuscite. C’è sempre però da rubare qualcosa, soprattutto in termini di relazioni umane.
I tuoi progetti futuri. Novità in arrivo.
Il prossimo spettacolo che farò assieme a Maria Maglietta e a Mirto Baliani, con le scenografie di Lucio Diana, si intitola “Trincea”, sulla prima guerra mondiale. Io sarò in scena da solo. Sarà molto inaspettato. Debutta al Festival delle Colline Torinesi il 10 e 11 giugno 2015. Un altro grande progetto che finalmente sono contento di realizzare, perché sono anni che lo inseguo, con Mauro Montalbetti che comporrà le musiche farò un’opera lirica contemporanea sulla figura di Pasolini, grazie a “Teatri di Reggio Emilia” diretto da Gabriele Vacis. Debutterà a fine ottobre alla Cavallerizza (Reggio Emilia).
Cosa consigli agli aspiranti registi?
Di stare tanto in scena, di essere attori, di sporcarsi le mani e di capire tutto l’imbarazzo e le difficoltà di quei quattro assi su cui si sta. E dopo cominciare forse a dirigere qualcuno.
 
www.marcobaliani.it
 

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