Il nostro redattore Gianfranco De Cataldo ha intervistato la regista Diana Dell’Erba. Di seguito l’intervista esclusiva per voi lettori.
Ciao Diana! E’ un vero piacere ospitarti sul nostro portale. Iniziamo dalla prima domanda. Un bel tuffo nel passato. Da bambina cosa sognavi di fare?
Ciao a tutti e grazie a voi per l’invito. Da bambina sognavo di fare moltissimi lavori, tutti nel campo dell’arte. Avevo una fervida immaginazione. Vivevo in un mondo tutto mio. Un mondo di ordine e armonia, diverso dalla realtà… crescendo, con l’arrivo delle responsabilità, sono stata costretta a cambiare, ma quel mondo è sempre nel mio cuore e lotto in continuazione perché sia il più presente possibile anche nella mia vita.
Cosa significa essere attori, oggi.
Quello dell’attore è un mestiere molto complicato che presuppone un grande lavoro di introspezione e crescita personale, per il quale probabilmente non basta un’intera vita… oggi, dal mio punto di vista, lo si confonde molto con il desiderio di apparire o affermarsi in quanto individuo… quando invece penso sia nato per l’esatto opposto: per andare al di là dell’individualità, al di là dell’ego e per poter crescere e migliorare attraverso la profonda conoscenza di se stessi. Nel mio percorso purtroppo non ho trovato moltissime persone che avessero questa concezione dell’attore, ma le poche che ho incontrato ho deciso di tenermele strette, continuare a frequentarle e lavorare con loro.
Le soddisfazioni che ti sei tolto (un po’ di autocelebrazione non fa mai male!).
Paradossalmente, per me è una soddisfazione non essere entrata nel “sistema attoriale”. A volte mi piacerebbe lavorare di più in questo campo, ma poi penso a quale delusione è stato il non confronto con chi non concepisce questo mondo come ricerca, ma solo come hobby e, allora, sono fiera della mia scelta.
Generalmente per un attore bisogna avere chiaro cosa il personaggio sia per se stesso, assorbirlo, ma avere poi l’elasticità di farsi guidare dalle emozioni. Ci racconti come ti prepari?
Per lo più mi sono sempre fatta guidare dall’istinto e dai registi… mentre ultimamente sto cercando di lavorare distintamente sul corpo, le emozioni e i pensieri, per poi alla fine unire tutto insieme e cercare di trascenderlo.
Penso che il bravo attore sia colui che riesce ad essere contemporaneamente attore e spettatore o, per usare altre parole, giocatore e allenatore… che è anche una bella metafora per la vita stessa.
Il tuo primo esordio, cosa ricordi?
La prima esperienza che ho nel cuore è un piccolo lavoro fatto con Peter Greenaway. Ero giovane, leggermente confusa e un po’ intimorita… ma poter, anche per poco, stare accanto ad un un grande come lui, è stato indescrivibile. Esperienze del genere ti insegnano tantissimo, da tutti i punti di vista. Con tutte le sovrastrutture che abbiamo, non è facile capire cosa voglia dire fare Arte… prima lo si intuisce solo, ma quando lo si arriva a comprendere davvero, non si può che desiderare solo quel mondo. Inoltre proprio in quell’occasione ho incontrato quello che oggi è un mio caro amico. Un signore che nel percorso della mia vita è stato assolutamente un punto di svolta. Una grande sincronicità.
Il tuo esordio da regista invece: raccontaci qualcosa a riguardo.
Proprio nel momento in cui “ho scelto di scegliere”, guardandomi intorno, ho notato quante poche donne registe conoscessi. Così, unendo tutto quello che avevo imparato fino a quel momento a tutto ciò che avevo bisogno di superare, ho voluto togliermi questa piccola grande soddisfazione: fare un viaggio all’interno del mondo della regia femminile italiana. E’ stata un’esperienza straordinaria. Il documentario, e più in generale il cinema, sono dei mezzi meravigliosi per apprendere, crescere, ed esplorare mondi fino a quel momento a te sconosciuti.
L’importanza della formazione artistica.
E’ importantissimo lavorare per un animo forte, umile, saggio… Solo tentando di comprendere come funzionano le cose, puoi davvero cibartene e poi utilizzarle per star bene e far del bene. Non vedo l’artista come un animo ribelle o malinconico… lo vedo come colui che, arrivato ad un alto livello di comprensione, può diffondere ciò che ha compreso.
L’aspetto di Diana nascosto al pubblico?
Non so… forse il pubblico potrebbe dirmi qualcosa di me che io non conosco.
Se la tua vita fosse un film, quale sarebbe? E perché?
Spero che la mia vita possa diventare sempre più come The Fountain di Aronofsky, con degli attimi di La Montagna Sacra di Jodorowsky. J
Come vedi il tuo futuro?
Sto ordinando la mia vita, ci sono dei grandi cambiamenti all’orizzonte e questo mi eccita e rilassa molto, allo stesso tempo.
Progetti futuri?
Sono molti i lavori a cui mi sto dedicando… il mondo è pieno di cose meravigliose e voglio soffermarmi su di esse. Tutto ancora top secret, in realtà… Tranne un progetto destinato al web che stiamo lanciando proprio in questi giorni. Dante’s Project, un’opera collettiva, tanto folle quanto entusiasmante: la lettura dell’intera Divina Commedia, terzina per terzina, fatta da chiunque voglia cimentarsi con il grande poeta. Davvero un’impresa, 5.000 persone disposte ad auto ripredendersi interpretando come meglio credono la terzina che noi gli assegnamo. Siamo appena all’inizio, ma mi sono innamorata dell’idea di riunire tutti in onore di uno dei testi più magici della nostra storia… ed è emozionantissimo vedere la varietà e la cura dei video che ci arrivano, alcuni davvero pieni di amore… C’è bisogno di cose positive! (http://www.altrofilm.it/dantes-project/)
L’intervista e’ finita, ma prima i saluti.
Un abbraccio a tutta la redazione e i lettori!
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