di Luca Tassiello.
Anticipato dai singoli “Partigiano reggiano” (in Italia) e “Voci” (all’estero), esce in tutto il mondo “BLACK CAT”, il nuovo disco di inediti di ZUCCHERO “SUGAR” FORNACIARI. Oltre alla versione italiana vi saranno altre tre versioni: quella internazionale, quella spagnola e quella asiatica, in cui vi saranno collaborazioni con il chitarrista hard rock giapponese Hotei e lo spagnolo Alejandro Sanz.
Prodotto da tre grandi nomi del panorama musicale internazionale, T Bone Burnett (Elvis Costello, Elton John, Tony Bennett e altri), Brendan O’Brien (Bruce Springsteen, Pearl Jam, Bob Dylan e altri) e Don Was (The Rolling Stones, Iggy Pop, Bob Dylan e altri), “BLACK CAT” si compone di 13 brani dalle nervature rock-blues: “Partigiano Reggiano”, “13 Buone Ragioni”, “Ti Voglio Sposare”, “Ci Si Arrende” – feat Mark Knopfler, “Ten More Days”, “L’Anno Dell’Amore”, “Hey Lord”, “Fatti Di Sogni”, “La Tortura Della Luna”, “Love Again”, “Terra Incognita”, “Voci” e “Streets Of Surrender (S.O.S.) feat Mark Knopfler, in cui si annovera inoltre la collaborazione artistica di Bono, che in seguito alla tragedia avvenuta al Bataclan di Parigi ha scritto con Zucchero il testo.
Il video di “Partigiano Reggiano” è visibile al link http://vevo.ly/GkOten e il video di “Voci” è visibile al link http://vevo.ly/Ll0YcP (entrambi sono stati diretti da Gaetano Morbiolli).
“BLACK CAT” verrà presentato live da Zucchero a settembre, in anteprima mondiale all’Arena di Verona, nei suoi unici 10 concerti in Italia per tutto il 2016, prima tappa di un tour che impegnerà l’artista in tutto il mondo.
Ascoltando il disco fino alla fine ci sono tre produttori diversi, ma il suono è omogeneo. Mi chiedevo quindi se hai avuto contrasti in fase di registrazione. Inoltre sono passati anni dal tuo ultimo disco, e quest’ultimo ha un suono molto diverso: come ci sei arrivato e qual è il filo conduttore se c’è?
Sì, la mia preoccupazione avendo tre produttori diversi era quella che il disco potesse suonare in tre modi diversi avendo ognuno il suo stile. Ma mi sono preoccupato di fare una riunione prima con tutti prima di entrare in studio di registrazione e ne abbiamo parlato. La cosa buona è che c’è un buon legame tra loro e quindi è stato abbastanza semplice, non c’è stata competizione o cose così; hanno capito che il disco doveva suonare come un progetto unico pur nelle varie diversità di stile. Riguardo la seconda domanda invece, cosa mi ha ispirato? Ultimamente non parto più dalla canzone, ma parto dal suono. Per prima cosa quindi trovo un suono che mi ispiri, ad esempio con Chocabeck erano le campane della chiesa di fronte casa mia e le voci dei ragazzini sul sagrato; qui il suono mi è venuto immaginandomi queste piantagioni di cotone con gli schiavi, per cui le catene sono diventate un suono ritmico, le voci sono diventate centrali e le prison songs sono diventate importanti in questo album dal suono un po’ tribale. Poi sono stati impiegati strumenti musicali non tradizionali, come vecchie batterie di legno degli anni ’40 con la pelle ancora originale, i bidoni del gasolio che hanno un suono molto sordo, queste chitarre un po’ artigianali con le corde piuttosto grosse ed il bottleneck; mi sono creato questo suono anche immaginandomi film come “Dodici anni schiavo”, “Il colore viola” e “Django Unchained”. Questo era il suono che volevo creare, dopodiché le canzoni sono arrivate pensando a quel suono lì.
Hai detto che nel comporre queste canzoni cercavi un suono “anarchico”. Cosa intendi per anarchia nel fare musica?
“Libero”. Una volta non si facevano canzoni che dovessero necessariamente raggiungere le vette delle classifiche, e con questo album ho pensato di voler essere più libero, di tornare ai vecchi tempi in cui non mi interessavano le classifiche delle radio o quanto il disco potesse piacere, ai tempi in cui ero più libero perché avevo meno da perdere.
Cos’è lo “slempito”?
Lo “slempito” è una forma dialettale delle parti in cui vivo: significa “coraggio”, “energia”, “darsi una mossa”!
E dopo la lambretta rossa, è spuntato adesso questo “partigiano reggiano”. C’è un po’ quest’altro sottofondo di temi, questo sfondo pregno di antiche lotte ed antichi ideali nelle tue canzoni. Sai, sono nato in una “zona rossa”, in Emilia. Ho il ricordo di mio nonno e mio zio che mi parlavano di quando andarono in Germania e la figura del partigiano era molto ammirata, poiché era un uomo coraggioso che aveva lasciato la propria famiglia per andare a combattere. Questo “slempito”, più che un riferimento al passato sembra un invito alle nuove generazioni, una “sveglia” ai giovani, che non hanno più quella forza, quella passione, quella voglia non di fare rivoluzione, ma di costruire nuovi ideali.
Come hai scelto i musicisti? In base a i suoni?
Li abbiamo scelti insieme ai produttori. In ogni traccia non necessariamente suonano insieme cinque, sei musicisti. Non è necessario realizzare l’intero album con tutti i musicisti. Ogni brano, in teoria, dovrebbe avere dei musicisti diversi.
Perchè questo titolo, Black Cat?
“Black Cat”, quando ho dato questo titolo non ho pensato al gatto nero che attraversa la strada. Per gli afroamericani il gatto nero è segno di buon auspicio, contrariamente a noi. Per loro è un modo di dire, si salutano dicendo “Hey cat, how are you?”, come a dire “Hey man”, è un saluto confidenziale. Ho deciso di dare questo nome al disco perché, più degli altri, è un album nero, con radici nella musica afroamericana. È un album libero, come libero è il gatto. Il gatto è selvatico come questo album, i suoni sono ruvidi, marci, ma è anche un disco un po’ anarchico, perché il gatto non è così domestico come può esserlo il cane. Il suono delle parole Black Cat mi è piaciuto subito e mi sembrava che fosse in sintonia con l’album stesso.
La discografia in Italia?
E’ un pò come il gatto che si morde la coda. Forse c’è stata una tendenza eccessiva a seguire i media. Forse bisognerebbe anche in questo settore essere un pò partigiani. A tutto c’è un limite.
Gli ospiti internazionali delle date di Verona?
E’ ancora troppo presto. Sto pensando alla band. Considerato che questo album è piuttosto organico, i live avranno bisogno di tanti musicisti. Dovremmo essere, credo, tra tredici massimo quattordici elementi sul palco. Sto pensando anche a giovani talenti che possano esprimersi ed essere apprezzati.
Come quando e perchè nasce la canzone con Bono.
Sono andato a trovare Bono quando è venuto a Torino con gli U2. Avevo un appuntamento nel suo camerino. Gli ho chiesto se voleva venire sul palco a cantare con me. Sono cascato dalle nuvole quando mi ha dato conferma di una collaborazione alla realizzazione di un brano. Voleva che andassi a cantare con lui il brano finale del concerto, ma ho rifiutato perchè non volevo prendere i fischi! (ride). Dopo Torino ci siamo sentiti e mi ha riferito che aveva trovato la chiave di lettura del nuovo brano.
Credits: Luca Tassiello
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