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Intervista a Vittorio Storaro, Autore della Fotografia, tre volte Premio Oscar

Di Vito “Nik H.” Nicoletti
 
Vittorio Storaro celebre Autore della Fotografia, 3 volte Premio Oscar sarà  ospite della sesta edizione del Fabriano Film Fest 2018 in programma il 1-2-3 giugno nella splendida cornice del Museo della Carta e della Filigrana. Come sempre sono molte le novità che animeranno il festival, affiancandosi ai momenti canonici della kermesse e dunque, anche per l’edizione 2018, si prevedono grandi emozioni in piccole dosi.
 
Di seguito l’intervista rilasciata per Voce Spettacolo. Si ringrazia Valentina Tomada, attrice e Direttore Artistico del Fabriano Film Fest per la gentile collaborazione.
 
Con quali virtuosismi tecnici e con quanto lavoro riesce a trascrivere un film in immagini, per citare il titolo della sua trilogia, è possibile scrivere con la luce?
Si, nel cinema c’è una susseguenza di immagini che richiedono un racconto. Mi piace la parola “scrivere” perché, questa parola, sottintende un ragionamento da fare. Non solo. Nel tempo del racconto c’è anche un certo tipo di ritmo dato dalla musica, c’è letteratura ed all’interno dell’immagine c’è la parola composizione. Noi in definitiva raccontiamo, con la luce, esattamente la storia che è scritta o la storia che la musica tenta di sottolineare. E lo facciamo attraverso tutte le arti, questa è la cosa bella. Da sempre la mia attenzione si è rivolta anche ad altre arti come il teatro, con Luca Ronconi, la pura fotografia ed anche l’architettura. Con mia figlia, Light Designer, abbiamo collaborato unendo il linguaggio della luce con l’architettura. Da questa collaborazione sono stati portati a termine diversi progetti come quelli ai Tre Fori Imperiali di Roma. Attraverso il linguaggio della luce abbiamo cercato di raccontare, con certe tonalità e certe posizioni luministiche, tutta la storia di quel certo Imperatore e del perché ha fatto quel tipo di cosa. Adesso, invece, ci stiamo occupando dell’interno del Battistero di Firenze, uno dei Battisteri più belli che siano stati mai edificati nel 1200. C’è stato tutto uno studio, una ricerca per capire come sarebbe stato possibile individuare, attraverso la luce, delle emozioni che potessero simboleggiare quello che è il ritmo iniziale ed originale del rito del Battesimo da parte di S. Giovanni nel fiume Giordano. La cosa bella è che negli studi è venuto fuori che ciò che riguarda il battesimo è stato fatto tutto nella forma dell’ottagono, la forma geometrica più vicina al cerchio. Quella che si avvicina più al senso di infinito. Tramite l’acqua, nel battesimo, si dava una specie di resurrezione, di rinascita, di uscita da un tempo di barbarie per entrare nel tempo di un credo. Noi abbiamo pensato, con la luce, di unire questo rapporto con la fede. Quindi, la luce parte da questo ottagono, si sparge per tutto il pavimento del battistero, come fosse una fonte di acqua, come fosse un battesimo simbolico della luce. Poi sale sulle colonne del primo cerchio che completa il battistero e va nell’altro ottagono per confluire, poi, in un cerchio centrale dove c’è l’immagine del Cristo. Quindi si passa dalla forma dell’ottagono, simbolo di fonte battesimale, al cerchio, simbolo dell’eternità, dove c’è il Cristo che simboleggia la risurrezione. Poi dal cerchio del Cristo la luce ritorna sulla terra, su una seconda parete più esterna, con un tono più celestiale e quindi chiude il sistema, il principio dell’infinito. In definitiva abbiamo cercato tramite la luce di dare 2 messaggi fondamentali. Il primo: originariamente si usava l’acqua per battezzare e noi usiamo la luce come simbolo di un elemento fondamentale che è lenergia visibile; Il secondo: usando due tonalità diverse di luce, una incisiva e calda che sale, l’altra celestiale che scende, descriviamo il concetto architettonico del battistero stesso che sembra anche quello che ha ispirato il Brunelleschi.
Quindi c’è uno studio approfondito su ogni cosa?
Certo, questa è la cosa fondamentale, ogni progetto cinematografico, architettonico o di qualsiasi natura richiede giustamente una sua ricerca , un suo studio, una sua applicazione.
Esiste la formula perfetta per realizzare un film di successo?
No, non credo. Devo dire che ogni volta che si realizza un progetto, non si pensa mai se possa avere successo o se possa vincere un premio, incassare denaro, o altro. In genere si tenta di realizzarlo nel miglior modo possibile. Credo però che il cinema sia un’espressione in immagini quindi le immagini hanno una certa proprietà anche espressiva sul piano dei concetti, che si completa con il linguaggio della musica, grande stimolatore delle emozioni, e con il linguaggio della parola. Nel momento in cui queste tre arti sono in buon equilibrio tra loro, in genere è un buon film.
Ogni traguardo regala e toglie qualcosa. I suoi traguardi, fino ad ora, cosa hanno regalato e cosa, invece, hanno tolto alla sua vita?
Mi hanno regalato l’unità con la mia famiglia. Purtroppo in questo lavoro ci si sposta sempre all’estero o comunque si è per molto tempo lontani da casa, è difficile mantenere la professione e la famiglia su due binari in parallelo. Fortunatamente per me questo è stato possibile grazie a Tonia. Ci siamo conosciuti nel 1958 mentre stavo preparando l’esame al Centro Sperimentale, lei aveva 16 anni ed io quasi 18. Sin dall’inizio è stata sempre vicino nei momenti importanti, anche quando ci hanno donato la prima Nomination all’Accademia con Apocalypse Now. Ricordo che gli dissi: “pensa alla bellezza, andiamoci, non pensiamo di vincere, siamo giovani, ci sono tanti altri film belli, altri colleghi molto più bravi di noi…” alla fine siamo riusciti a fare insieme tutto questo percorso fino ad oggi e ancora continuiamo. La trovo una cosa bellissima.
La vita è sempre più bella di un bel film?
Io non ho trovato mai differenza tra le due cose. È la cosa che dico sempre. Le due cose vanno insieme, vita e professione. Io non sono sempre al lavoro, io mi sto divertendo, sto facendo una cosa che mi piace, che amo ed è la mia espressione. Per me non è un dovere ma è un piacere farlo, è il piacere di vivere. Io credo che il mestiere di vivere, come diceva Cesare Pavese, è un bellissimo mestiere”.
 

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