Intervista con il regista. Federico Mattioni

Intervista con il regista. Federico Mattioni

di Gianfranco De Cataldo.
 
Ciao Federico! La prima domanda! Un tuffo nel passato. Da bambino dicevi… “da grande farò”…?
Ciao! Da grande farò il tuffista… Poi mollai subito il nuoto e passai a sognare il Cinema, senza immaginare che un giorno sarei arrivato a farlo. Anzi, per diversi anni, almeno fino ai 25, non volevo farlo. Volevo solo ammirarlo.
Tanti pensano che fare il regista sia fare solamente soldi, in realtà è soprattutto passione con tanti sacrifici, raccontaci come nasce la tua…
Probabile lo pensino in tanti. Molti fanno sacrifici con l’esclusivo scopo di far soldi. Ma in quei casi, a mio avviso, non c’è una vera passione. Le vere passioni fanno pompare sangue e quello ci scorre senza compravendita. La mia nasce per caso, come molte cose del resto. Mi suggeriscono, quando ancora ero uno studente universitario del Dams a Tor Vergata, per insegnare cinema all’interno di un’associazione culturale. Ero spaventato inizialmente, non lo avevo mai fatto e soprattutto non mi ero ancora laureato in Storia e Critica del Cinema, ma com’è successo molte volte nella mia vita, anche quando ero timido e mi sentivo insicuro, mi sono buttato, e seppur con qualche ovvia difficoltà alla fine è andata bene. Al termine di quel corso era prevista la realizzazione di un cortometraggio con alcuni allievi di una scuola media di Frascati e non mi sembrava vero di aver realizzato una clip come regista e lì per lì mi sembrava di aver fatto chissà cosa, poi come molte cose, a distanza di tempo, con la maturità e l’esperienza rivelano tutti i loro limiti. In quel caso consapevoli limiti, ma a contare inizialmente era solo l’entusiasmo di aver iniziato e di volerci poi prendere gusto. Infatti, venni a conoscenza dell’innovativo e sorprendente festival di Cinemadamare e fu lì che cominciai a sperimentare e a mettermi in gioco, collaborando con filmmaker provenienti da tutte le parti del Mondo. Ma forse è più opportuno dire che tutto nasce, come sempre del resto, dall’infanzia. Emerge da una splendida villa nella quale vissi e fiorii lungo 14 incantevoli anni. Era nientemeno che la villa della famigerata attrice Claudia Cardinale.
Secondo te come è possibile scrivere ancora cinema di qualità?
Diventa possibile quando ci si fida del proprio istinto, poi quando qualcuno ci offre l’opportunità per far sì che quell’istinto diventi un’ossatura. In seguito, quell’ossatura, se sincera, non farà altro che aprirci la strada ad una rivelazione. Quella rivelazione sarà la nostra qualità e se ci si crede, sarà considerata tale anche dagli altri.
Il lavoro del regista oggi.
Un lavoro più semplice, diretto, certamente meno costoso e con possibilità di gestire set molto meno caotici. Un lavoro anche meno responsabile. Una volta, con la pellicola, c’erano più rischi. Non poteva essere sprecata e la meticolosità era un tassello fondamentale per il mestiere del regista. Oggi si tende a girare molto di più, tanto non costa nulla, se non nel tempo in più che si decide di spendere. Questa apertura democratica, comunque necessaria, per permettere a tutti di mettersi in gioco e non soltanto ad aristocrazie e alta e media borghesia, può portare spesso a farlo senza criteri. Secondo le testimonianze di persone che stanno spesso su set di professionisti, molti registi non hanno le idee chiare. Ecco, pellicola o non pellicola, penso che un regista debba essere consapevole di ciò che sta facendo. Ci deve essere uno studio dietro, non solo eventuali e fortunate esperienze pratiche. Nasce da anni e anni di ricerche, studi, visioni di film di tutte le epoche e generi, da letture indispensabili. Il sacrificio è l’anticipazione di un potenziale premio. Bisogna sudarselo, altrimenti che gusto c’è? Il sapore sarà più rotondo! Oggi, la figura del regista somiglia a quella di un demiurgo e se impara a seguire il processo creativo seguendolo di pari passo dalla scrittura al montaggio può imparare molto, purché non si fossilizzi su una sola strada che non offre mai una certezza. Non sopporto quei registi che dicono di non voler vedere nulla, perché a loro dire non amano essere influenzati. Secondo me quei registi il Cinema non lo amano veramente. Nella storia ci sono stati molti registi che sono diventati tali senza seguire scuole propedeutiche e questo è anche un bene, perché ti permette di non soffocare e non incanalare su un binario convenzionale la propria creatività. Le scuole non dovrebbero farle i talenti , né tantomeno i geni. Ma anche lo stesso genio, a volte intrappolato in un pregiudiziale intellettualismo, andrebbe alimentato con costante studio. Ma tornando al discorso di prima, faccio veramente fatica a credere che possano esserci grandi registi che non hanno mai seguito le filmografie dei più grandi maestri della storia del cinema. Semmai dovessero esistere, non dovrebbero essere valutati alla stregua dei grandi. Si può diventare maestri anche grazie ad altri maestri. C’è sempre stato e sempre ci sarà un maestro sopra l’altro maestro e più maestri sopra chi pensa di essere l’unico maestro.
Come nascono le tue idee?
Difficile spiegarlo. Posso provarci, anche se vorrei fare una premessa. È proprio quando vorresti scrivere e ti siedi davanti al computer che non ti esce nulla di buono. Negli anni ne ho cestinati molti di file word. Nonostante questo quando è inaspettatamente arrivata l’ispirazione mi ha permesso di scrivere e pubblicare davvero molto (racconti e poesie col self-publishing o con case editrici, pubblicazioni varie con collane, magazine, quotidiani). Non ci sono regole nell’arte. Le cose migliori nascono quando meno te lo aspetti e magari quando sei in viaggio, quando hai un block-notes ma ti manca la penna. Io ho un problema. Dormo poco. Mi piace la notte con la sua atmosfera. Scrivo spesso di notte, almeno quando non devo alzarmi troppo presto la mattina. Nelle ore notturne il cervello comincia il suo vero viaggio e soltanto se il corpo crolla, poi si smorza e viene meno lo sforzo.
Per quale tuo lavoro nutri maggiormente affezione? Quale invece ti ha dato filo da torcere?
Non potrei sceglierne uno, che sia l’ambito cinematografico o quello letterario o, volendo, musicale. Sicuramente il primo film è significativo, non si scorda mai, anche perché è il completamento di un percorso tematico intrapreso sin dai primi cortometraggi. Ogni creazione ha le sue fasi di stallo, i suoi blocchi, ma non parlerei di filo da torcere. A volte, ad infastidirmi è l’elemento inatteso che in casa ti fa fermare, per qualche motivo, proprio quando l’ispirazione monta. Solo che non pensi alla panna … E non hai crampi allo stomaco. Può essere un rumore. Ed ecco che il tono della storia può cambiare all’improvviso …
Un film che avresti voluto dirigere.
Penso di avere ancora tempo per provare a dirigere alcune cose che non ho ancora provato a fare, ma se dovessi sceglierne uno diretto da un altro grande regista non saprei proprio cosa scegliere. Amo troppi film. Sono curioso! Ecco l’ho confessato… Penso sia il primo peccato utile di un cineasta dal futuro a portata di mani … Se dovessi pensare a un genere, avrei voluto dirigere quei film che riescono a cambiarti la vita, che purtroppo sono rari; quelli in cui ne esci come nuovo, con ambientazioni e atmosfere uniche e un grande senso dell’audiovisivo, aspetto che ritengo fondamentale e che invece è solitamente molto poco curato. Quando accade, il più delle volte vado in un brodo di giuggiole, ma accade raramente specie nel nostro cinema. Troppi film ancora amano perdersi in futili chiacchiericci, dove a predominare sono l’eccessiva teatralità e un piatto linguaggio televisivo.
Regista, autore, scrittore : dove ti vedi piu’ a tuo agio?
Quando lo scrittore capisce che la sua storia ha del potenziale per il Cinema e comincia a pensarla e strutturarla con un linguaggio tutto suo, tanto da farla diventare la storia di un autore. Dal completamento di questi tre fattori, arrivo a sentirmi a mio agio.
Dalle parti di Astrid: parlaci di questo tuo Progetto.
Un progetto divenuto realtà, quindi non più un progetto ma un vero e proprio film di 72 minuti. Un anno di preparazione, dieci giorni di lavorazione, un anno e mezzo quasi per la post-produzione. Soldi pochissimi, mezzi irrisori, fonti di stress, un’enorme soddisfazione. Trattandosi di un progetto nato soprattutto dalla spinta suggerita da chi ce l’ha fatta prima di te, quindi anche da grandi autori che hanno cominciato proprio con budget irrisori, chiedendo prestiti o mettendo da parte soldi per cercare di realizzarlo con quel poco che si arriva ad avere, il film è una scommessa del tutto aperta ai più svariati scenari. Si punta a delle proiezioni pubbliche, oltre a qualche festival attento alla cerchia del cinema veramente indipendente. Ne abbiamo programmata una la sera del 21 marzo alle ore 22.30 al cinema Tiziano di Roma. Ho preso contatti per realizzarne anche in altre città. Sento che questo è solo l’inizio di un lungo e significativo percorso, ed è una cosa che avvertivo sin dai primi giorni quando ho cominciato a pensarlo questo film, mentre nessuno o quasi voleva crederci. Pensavano all’utopia, poi alcune circostanze fortunose accadute soprattutto sul set hanno cominciato a dare concretezza all’insieme. Chi ha finito per crederci ha potuto farlo perché io per primo ci ho creduto talmente tanto d’arrivare a trasmettere un’intensa determinazione. Astrid è tutti noi. La speranza rappresentata da una giovane ragazza, una donna che fugge da una prigione borghese, familiare più che altro, cercando d’inseguire un sogno, che come tutti i sogni comporta dei rischi, costringe ad affrontare delle paure, ma che attraverso quelle stesse paure può affrontare meglio se stessa, ripercorrendo il passato, con la mente proiettata al futuro. Ho immaginato che sulla Terra possano esistere delle persone predestinate a qualcosa di unico, sensazionale, ma per far sì che queste persone si realizzino e possano giungere laddove tutto questo è permesso, c’è bisogno dell’aiuto di una guida utile per il viaggio. La guida potrebbe venire da molto lontano, da qualche altro pianeta o da un’altra dimensione. La vita è un grande mistero e io sono molto affascinato dal mistero, la sola idea di poterlo esplorare mi elettrizza. Specie attraverso delle opere cinematografiche. Il viaggio di Astrid sarà costellato e rallentato da tanti ricordi, piacevoli e spiacevoli. Sarà il viaggio di un’eroina in fieri, anche se la sua vita e il suo approccio alla vita non sembra avere nulla di eroico. Lei probabilmente voleva soltanto amare ed essere amata, genuinamente. Il cammino per giungere dalle parti di Astrid, percorso sia della stessa Astrid che del pubblico inseguitore, diviene la fuga dalle costrizioni e dagli schematismi borghesi, ma anche motivo di evasione, di fuga da un mondo, e in specie da una città quale Roma, nella quale non sembra esserci più la possibilità di respirare o di prendersi del tempo per se stessi. La ricerca possibile di un universo di pace e armonia diventa anche una fuga di stampo ecologico. Per far sì che tutto questo funzioni e catturi le attenzioni del pubblico, è fondamentale prendere per mano la protagonista e lasciarsi affascinare dalla sua realtà, facendosi baciare da quell’atmosfera. Per dare verità a tutto questo è necessario mettersi “on the road”, sull’impronta del documentario capace di aprire squarci di visionaria allusiva verità.
Il tuo punto di vista sulla narrativa in Italia.
Non credo di aver capito molto come funzioni, né cosa ci sia dietro a questo incredibile livellamento contemporaneo. Libri-bancarella scritti a quattro, cinque mani e l’impronta degli autori quasi inesistente. Una volta gli scrittori si potevano davvero distinguere, avevano uno stile proprio assolutamente definibile, e un linguaggio ricco e illuminante. Cosa è successo oggi? Forse gli interessi economici hanno finito per rovinare tutto? Quelli ci sono sempre stati, oggi ancora di più. Complicato capire quanto la narrativa italiana sia caduta in basso. Ormai tutti sembrano poter scrivere, ma sembrano libri scritti dalle stesse persone. La poesia sembrano averla sepolta indietro nel tempo. Fortunatamente, in alcuni Paesi con lustri letterari, quali Francia, Germania, Stati Uniti, Inghilterra, la parola autore sembra avere ancora un senso. Uno dei pochi grandi scrittori europei che ancora oggi seguo volentieri è Peter Handke, giunto però alla veneranda età di 73 anni. M’interesso a Murakami. Mi piacciono i primi libri di Philippe Delerm. Non trovo che ci siano più grandi scrittori di racconti horror ed è un peccato. Peccato che un grande scrittore come Philip Roth abbia smesso di pubblicare libri. La narrativa americana è un po’ troppo sintonizzata sui tempi della paranoia. Guardando gli orizzonti non si può parlare davvero di nuove leve. Per tornare a pubblicare della grande narrativa, bisognerebbe rivalutare l’importanza della novella, del racconto. Penso che un grande scrittore, per essere considerato tale, dovrebbe prima riuscire a scrivere degli ottimi racconti, concentrare avvenimenti e pathos in poche pagine o righe. Perché non provarci? Il mio “Umanamente Uomo” è uno sguardo alternativo in questo senso. Me come altri che utilizzano queste piattaforme di self-publishing che non ti costringono, come fanno le case editrici, ad acquistare mattoni d’inutili copie. Decidi tu quante acquistarne, soltanto una è d’obbligo per avviare la pratica di distribuzione. Alcuni di questi autori meriterebbe un’occhiata, dato l’andazzo generale. Ma non dovremmo essere noi a suggerirlo …
Cosa consigli agli aspiranti registi?
Leggete tanti libri, ascoltate voci diverse, anche coraggiose. Guardate, o meglio visionate, anzi osservate, moltissimi film, di generi diversi ed epoche lontane, dalla contemporanea al periodo del muto. Cominciate a scrivere di cinema e cercate magazine che vi permettano di seguire anteprime stampa. Avvicinate, quando potete, magari in alcuni festival, personalità del settore. Provate ad intervistarli, tentare pertanto di entrarci in amicizia. Non si sa mai cosa potrà scaturire da quella amicizia. Provate a lavorare su un set, facendo qualsiasi cosa. O se proprio non ci riuscite, comprate dvd con backstage di film, spezzoni preziosi. Questo è l’iter soprattutto per chi non è di famiglia o non ha le cosiddette penticole. Potrete giusto variarlo un po’ questo percorso, colorarlo come meglio preferite, a partire dalla scelta di scrivere o meno di cinema. Prima, penso che sia tutto davvero necessario. Ma in quanti non sono così pigri da riuscire a farlo? Sarebbe utile incentivare in questo senso. Si torna al discorso di base. La passione prima di tutto e consiglio di non spendere inutili soldi in scuole che il più delle volte sono capaci di mortificarti e di far sì che quella passione si spenga prima del tempo. Se avete il fuoco, fate in modo che divampi del proprio fermento istintivo. L’accademia difficilmente si basa su quello, a meno che voi non siate veramente fortunati.
Progetti futuri?
Scrivo molto, quindi continuerò in particolare con racconti e poesie. Sto scrivendo una raccolta di poesie fortemente erotiche. L’Eros è uno degli argomenti che mi affascina e mi prende di più, su cui mi focalizzo molto anche nei miei lavori cinematografici. Infatti sarà uno dei temi, assieme a quello del mistero del sentimento, del mio prossimo lungometraggio dal titolo provvisorio “We love you”. Work in progress. Senza troppa fretta, perché prima c’è una certa Astrid.
Manda un saluto ai nostri lettori.
Un saluto pieno di vita dalle parti di Astrid, dove in armonia con la natura vi aspetterò al varco del primo grande schermo.
 

 

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  1. Leggendo attentamente questa intervista, si scopre ancor di più la passione, sprigionando in me stesso un certo vortice, ti scuote, ti dà anche un certo fastidio, ti sveglia e capisci il valore di tutto questo che rende alla sublimazione questa fantastica arte.
    Ringrazio il Sig. Gianfranco De Cataldo per questa intervista e il Regista Federico Mattioni per i suoi preziosi suggerimenti.
    Marco Bomba.

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